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Icone ambigue, incantevoli, miracolose

21 Termidoro Anno 225, Modane-Chambery (103 km). Dal “Blog of Wonders” (9.8.2017)

Le autobiografie degli artisti sono spesso piedistalli dorati: monumenti all’Ego di nessun interesse per chi non è un fan. Con qualche rara eccezione. I due volumi delle Memorie Ricreative, Scientifiche e Aneddotiche di Étienne-Gaspard Robertson (1763-1837) sono una felice deviazione dalla norma.

Sia chiaro: l’illusionista belga dice di sé ogni bene; ma l’autocelebrazione è bilanciata da affascinanti parentesi storiche, aneddoti gustosi, spiegazioni di giochi di prestigio, ritagli di giornale, frammenti di studi accademici e tanta ironia. Deviando il riflettore da sé, il mago scrive soprattutto sul mondo che lo circonda e le sue meraviglie. Pubblicate tra il 1831 e il 1833, le Memorie di Robertson offrono ancora infinite ispirazioni a YouTuber e blogger contemporanei: il loro stile variegato, anarchico e sperimentale si presta alla serializzazione tipica dei più moderni social network.

Etienne Gaspard Robertson, Mémoires Récréatifs, Scientifiques et Anecdotiques du Physicien-Aéronaute E.G. Robertson, Vol. 1, Chez l’Auteur, Paris 1831.

L’idea stessa di "In viaggio con Mesmer" nasce dal diario itinerante (1)  riportato nel terzo capitolo del primo volume. Robertson racconta il viaggio da Liegi a Parigi, ma essendo (oltre che un mago) un appassionato lettore, il suo sguardo è fortemente contaminato da un intreccio di incanto spontaneo e vivide suggestioni letterarie. E sebbene l’illusionista si limiti a raccontare ciò che lo circonda dall’originalissimo punto di vista di un tecnico della meraviglia, il risultato è un affascinante ibrido, a metà tra il romanzo e il memoriale, inframmezzato da illusioni svelate con dettagliati schemi, frecciate ai colleghi e brani da importanti opere filosofiche.

Tre pagine dall’autobiografia di Roberson. Da sinistra, le immagini si riferiscono a: (1) il trucco per far apparire quattro teschi a partire da un solo foro, (2) una macchina elettrica di sua invenzione e (3) il metodo per realizzare una scatola di legno con cui il pubblico può conversare.

I due volumi hanno, sul mio viaggio, uno strano riverbero: dirigendomi verso Chambery, non resisto all’influenza delle loro pagine e al fascino dei paralleli che si svelano tra i nostri itinerari. In marcia verso Parigi, ci imbattiamo entrambi in un’ambigua immagine miracolosa.

Robertson fa sosta a Liesse-Notre-Dame, dove un dipinto mariano compie prodigi; l’illusionista non nasconde un’opinione severa sui miracoli attribuiti alla Vergine:

Si tratta di devozioni nate per aiutare luoghi che, altrimenti, non si sosterrebbero con il solo commercio o con lo sfruttamento della terra. Liesse-Notre-Dame è proprio uno di questi casi. (2) 

Una visita alla cappella locale gli offre l’occasione per citare un aneddoto curioso:

Nell’isola di Corfu, un affresco del genere ha dato notorietà a una piccola chiesa: coloro che avessero voluto scoprire se i loro amici erano vivi o morti si avvicinavano all’immagine e vi applicavano una moneta, pensando a una persona. Se costei era viva, la moneta restava attaccata all’immagine, ma se era morta, cadeva in una borsa che si trovava sotto; in questo modo, che fosse viva o morta, il parroco era sempre sicuro di tenersi la moneta. (3) 

Illustrando gli aspetti tecnici della dinamica "testa-vinco-io-croce-perdi-tu", Robertson spiega che alcune aree dell’immagine erano adesive perché coperte di vernice fresca: l’impegno quotidiano del sacerdote consisteva nel riapplicare periodicamente alcune macchie di colore in certi punti e non altri.

Lo scorso 10 maggio 2017 ho raccontato la vicenda del Dead-or-Alive Coin all’Università di Warwick, invitando i presenti a indagare sul destino del magico affresco di Corfu. Mauro Ballesio mi ha preso sul serio e ha scoperto che Robertson cita alla lettera il Viaggio in Grecia (1682) di George Wheler (4) .

George Wheler, Journey Into Greece, Cademan, Londra 1682, p. 30.

Theodoros Skalitis spiega qui che l’affresco fu realizzato nel 1670 da Theodoros Poulakis nella chiesa chiamata Panayia Kassiopitissa. Resta aperto il mistero sulle condizioni odierne dell’immagine.

Io faccio sosta a Chambery attratto dalla stessa dinamica: dal 1502 al 1578 la cittadina francese ospita la Sindone, il lungo telo miracoloso che ritrae l’immagine di Gesù con i segni della crocefissione. Ambivalente come l’affesco di Corfu, il reperto produce reddito che sia autentico o no. Nel 1390 Clemente VII aveva trovato la formula perfetta per "normare" la venerazione di un oggetto tanto ambiguo; in perfetto equilibrio tra incanto e disincanto, esso poteva essere esposto, ma solo pronunciando ad alta voce l’esplicito disclaimer: "Questo non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a imitazione del Sudario."

Per ospitare il telo, nel Cinquecento i Savoia fanno realizzare a Chambery una sontuosa cappella: la Sainte Chapelle, un luogo di cui avevo sempre e solo visto la copia settecentesca; a Torino, infatti, la confraternita del Santo Sudario aveva fatto realizzare una chiesa la cui facciata avrebbe dovuto ispirarsi a quella francese.

A sinistra: La Sainte Chapelle di Chambery (1430). A destra: Chiesa del Santissimo Sudario di Torino (1764).

C’è un dettaglio interessante che si apprezza solo visitando la Sainte Chapelle dal vivo; le fotografie degli interni mostrano un soffitto gotico tra i più spettacolari e intricati mai realizzati:

Volta della Sainte Chapelle di Chambery.

La luce giusta rivela l’inganno: la volta è finemente affrescata, e l’incredibile gioco di chiaroscuri è solo un inganno-per-l’occhio, un trompe-l’oeil; il muro non è davvero scolpito, ma per l’incanto che coltiva conta solo ciò che appare, l’effetto su chi osserva. Un subdolo, meraviglioso gioco di prestigio che nessuno ha mai considerato blasfemo, anche se proposto in un luogo sacro. Nel Cinquecento, tra l’affresco sulla volta e la Sindone - artefatti a chiaroscuro concepiti per incantare mettendo in scacco la ragione - fu certamente amore a prima vista.


Note


Chambery, 9 agosto 2017.

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Mesmer è curato da Mariano Tomatis, già autore di La magia della mente (2008), Te lo leggo nella mente (2013, prefazione di Max Maven) e L’arte di stupire (2014, prefazione di Derren Brown).

Insieme a Wu Ming ha curato il Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario, sperimentazione teatrale tra mentalismo e letteratura.

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Per contatti: mariano.tomatis@gmail.com

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