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La zona del Crepuscolo

Nel 1836 l’editore parigino Renduel definì "imminente" l’uscita del Capitan Fracassa di Théophile Gautier; il romanzo uscì alla fine del 1861, venticinque anni dopo il suo annuncio. Devo ringraziare l’amica Filo Sottile per avermi segnalato la vicenda: anche se ho impiegato un solo anno per scrivere Dall’età della pietra all’età dell’anima (2016), primo volume della serie Mesmer, per il secondo potrei impiegare decenni; Gautier mi offre un precedente che alleggerisce ogni pressione psicologica.

Il nuovo volume è in cantiere da oltre due anni e, prendendo spunto da Renduel, posso annunciarne l’imminente uscita. Oggi cade l’anniversario giusto: il 7 settembre 2018 sono trascorsi esattamente venticinque anni dalla mia più straordinaria (per quanto involontaria) incursione della zona del Crepuscolo. Il secondo volume di Mesmer prende spunto da quella misteriosa visione per esplorare la storia del mentalismo dal 1784 ai primi decenni dell’Ottocento. Ecco la presentazione del progetto.

La zona del Crepuscolo. Un’anteprima da Mesmer, Vol. 2

Da tre anni sto scrivendo una biografia del mentalismo. A muovermi è un impulso tutto sommato banale: il desiderio di conoscere a fondo il protagonista del mio lavoro. Non scrivendo su commissione, ho scelto il tema sulla base di un affetto profondo; secondo Richard Holmes è la premessa giusta – specie quando il lavoro si preannuncia lungo e complesso. Il biografo di Shelley e Coleridge paragona il suo lavoro a quello di chi pedina un soggetto nel tempo:

Se non lo amate, non lo seguirete, non molto lontano, perlomeno. (1) 

Sigmund Freud, invece, mi mette in guardia; essere innamorati di qualcuno non garantisce biografie imparziali, anzi:

I biografi attaccati ai loro eroi […] dedicano le loro energie a un compito di idealizzazione, […] appianano le tracce di lotta nella sua vita con le resistenze interne ed esterne e non tollerano in lui alcuna ombra di debolezza o imperfezione. (2) 

Il padre della psicanalisi non considera che per me è proprio il contrario: mancanze e difetti sono ciò che più, del mentalismo, mi interessa portare alla luce. Da un lato perché sono gli aspetti in cui mi è più facile specchiarmi; dall’altro perché, a chi voglia illuminare le regioni più segrete di qualcosa, Leonard Cohen suggerisce di mirare al difetto:

C’è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce.

Anche se si tratta di una biografia del mentalismo, non posso nasconderlo: al cuore di questo libro c’è un elemento autobiografico, un fatto insolito che mi capitò il 7 settembre 1993. All’epoca ero ossessionato da una sfida numerica affidatami da mio padre: il gioco consisteva nel riempire le cento caselle di un quadrato rispettando alcune semplici regole. Dopo svariati mesi di tentativi a vuoto, l’impresa pareva fuori dalla mia portata: per quanto mi fossi spinto avanti, non ero mai riuscito a superare quota 97.

Mio padre aveva completato la griglia una sola volta, molti anni prima: custodivo come una reliquia il foglio su cui aveva trascritto la sequenza completa fino a 100.

La soluzione mi era apparsa all’improvviso nelle prime ore di quella mattina di fine estate: né addormentato né completamente sveglio, avevo “visto” – con gli occhi della mente – il sotterfugio con cui avrei potuto risolvere l’enigma. Al risveglio, avevo trasformato quella confusa intuizione in una procedura rigorosa, scoprendo di avere intuito giusto: con quella tecnica avrei ottenuto non solo una ma – con l’ausilio di un calcolatore – addirittura miliardi di soluzioni.

Quando succedono cose del genere, viene spontaneo chiedersi: da dove arriva quel meccanismo risolutivo? L’ho ricevuto dall’esterno, come un apparecchio che capta un segnale radio? O arriva dall’interno della mia testa, dove è potuto maturare grazie allo speciale stato mentale in cui mi trovavo?

Nel Settecento si pensava che alcune intuizioni improvvise arrivassero dall’esterno, e più precisamente dal maligno. Giuseppe Tartini (1692-1770) aveva intitolato Il trillo del diavolo una sonata per violino che gli era stata suggerita in sogno dal demonio in persona; il compositore ne aveva trascritto la melodia immediatamente dopo il risveglio.

Louis-Léopold Boilly, "Le Songe de Tartini", 1824 (LINK).

La Chiesa non escludeva tale possibilità, spiegando che le visioni possono venire a cerebro, a demone aut a Spiritu Sancto: le illuminazioni oscure arrivavano dal diavolo, quelle luminose dallo Spirito Santo… e poi c’erano quelle “cerebrali”, maturate direttamente nel cervello.

Un secolo dopo, ascoltata la melodia, Oliver Holmes (1809-1894) si era convinto che il diavolo non c’entrasse: da buon figlio dell’Illuminismo, il medico e poeta aveva rifiutato di vederci un intervento soprannaturale, chiedendo ironicamente:

Ma chi era il diavolo, se non lo stesso Tartini? (3) 

Omonimo dell’investigatore di Baker Street, come me Holmes si era interessato al fenomeno dopo una strana esperienza personale. Una notte aveva declamato in sogno alcuni versi la cui bellezza andava “molto al di là delle [sue] possibilità” (4) , ma al risveglio non era riuscito a ricordarli. Ragionando da scienziato – e approfittando dei medicinali cui aveva libero accesso come medico – aveva riprodotto artificialmente le condizioni della notte prima, inalando una forte dose di etere; questa volta, però, aveva lasciato una penna sul comodino, pronto a catturare su carta ogni suggestione. Precipitato in uno stato di coscienza a metà tra il sonno e la veglia, aveva avuto l’improvvisa rivelazione di quella

unica grande verità alla base di tutta l’esperienza umana, la chiave di tutti i misteri che la filosofia ha tentato a lungo e invano di risolvere. (5) 

Mantenendo una certa lucidità, Holmes era riuscito a descrivere in una nota quel che aveva capito. Al risveglio aveva riletto quelle parole con un misto di sorpresa e delusione; la Rivelazione delle Rivelazioni era formulata così:

Dappertutto si spande un forte odore di acquaragia. (6) 

Insomma, fare piazza pulita del diavolo e dello Spirito Santo non era bastato: anche se veniva a cerebro, la frase misteriosa lo costringeva a decidersi tra due interpretazioni opposte. L’etere distorceva la percezione, ingigantendo l’impressione che una frase stupida fosse importante e risolutiva? O forse la riflessione sull’acquaragia esprimeva davvero la soluzione ultima a tutti i misteri dell’universo, ma per capirla pienamente bisognava trovarsi sotto l’effetto dell’etere?

Rispetto a Holmes, io ero stato più fortunato: della mia intuizione avevo potuto misurare con precisione l’efficacia pratica. E come lui, ero convinto che fosse maturata nel mio cervello, risultato di miliardi di scariche sinaptiche. Eppure continuavo a interrogarmi sulla condizione in cui trovavo quando era emerso quel pensiero: rispetto alla veglia, cosa aveva di speciale la “zona del Crepuscolo” da cui era scaturita l’illuminazione? Alla ricerca di una risposta, mi ero immaginato lo stato di dormiveglia come la condizione di chi tiene i piedi in due universi distinti: da una parte, lo sregolato mondo dei sogni; dall’altra, la più logica e ordinata realtà. Potendo attingere da due regioni contemporaneamente, il mio cervello aveva avuto a disposizione il doppio del materiale da sfruttare e ricombinare. L’intuizione di quella mattina era originale, come le tipiche immagini oniriche, ma anche pratica ed efficace: una sintesi perfetta dei due mondi. Jules Evans avrebbe parlato di osmosi: quella mattina mi ero trovato in uno di quei

momenti liminali in cui il confine tra l’Io cosciente e mente subliminale diviene poroso, e i contenuti della seconda tracimano attraverso questo limite. Possono rivelare perle di saggezza, lenitive e potenti. Ma possono rivelare anche una marea di cose senza senso. (7) 

Idee e immagini che emergono dal dormiveglia si prestano a giudizi molto diversi. Non possiamo valutare la qualità poetica dei versi sognati da Holmes mentre il trillo del diavolo di Tartini si può ascoltare su YouTube: nell’esecuzione di Uto Ughi è attualmente apprezzato da oltre il 99% dei votanti. E se il ruolo dell’acquaragia nel grande Piano Cosmico resta oscuro, la mia soluzione al “gioco delle cento caselle” si è dimostrata valida ed efficiente. Insomma, come scrisse Frederic Myers (1843-1901), la mente può rivelarsi

tanto un cumulo di rifiuti quanto una sala del tesoro. (8) 

La zona del Crepuscolo è la regione da cui, negli ultimi anni del Settecento, si sprigionarono visioni e potenzialità che sembravano paranormali: il tema non si limitò a stimolare l’indagine scientifica ma finì sui palcoscenici, influenzando il mentalismo di tutto l’Ottocento. Il dibattito sulla natura di quelle visioni (“Si tratta di rifiuti o di tesori?”) si polarizzò in modo netto; il lavoro di chi provava a distinguere tra detriti e perle preziose fu seriamente ostacolato, da un lato dai creduloni, dall’altro dagli scettici più severi. Ripercorrendo oggi le tappe di quelle scoperte e prendendo in esame quei materiali, seguiremo il consiglio di Jules Evans: l’obiettivo è

individuare una terra di mezzo tra la ricezione acritica di simili esperienze quali perfette rivelazioni, e il completo rifiuto di esse quali patologie mentali. (9) 

Una biografia del mentalismo attraversa necessariamente un inestricabile intreccio di sublime e patologico; si annuncia un viaggio tra detriti e rifiuti, per il quale sarà utile svestirci dagli abiti eleganti – ma anche da ogni snobismo e disincanto sbruffonesco. L’atteggiamento da evitare è quello di Agliè, il protagonista de Il pendolo di Foucault di Umberto Eco. In cerca di verità “alte”, l’occultista era infastidito all’idea di dover frequentare le classi sociali più basse; privo di empatia verso gli ultimi, confessava di accostarsi al loro squallido mondo con

la freddezza, la comprensione, l’interesse con cui un teologo può guardare alle folle napoletane che urlano attendendo il miracolo di san Gennaro. Quelle folle testimoniano una fede, un bisogno profondo, e il teologo si aggira tra quella gente sudata e bavosa perché potrebbe incontrarvi il santo che si ignora, il portatore di una superiore verità, capace un giorno di gettare nuova luce sul mistero della santissima trinità. Ma la santissima trinità non è san Gennaro.

Nato negli ambienti dell’aristocrazia francese, il mentalismo ha coltivato intorno a sé una nicchia élitaria che nutre un disprezzo simile verso gli illusionisti: da sempre la disciplina solletica nei propri affiliati l’idea di trovarsi più in alto rispetto ai semplici “prestidigitatori”, buoni al massimo per la piazza di un mercato. Sfidando questo atteggiamento, proveremo a invertire il punto di vista: esploreremo la zona del Crepuscolo, i suoi tesori e i suoi detriti non tanto dal basso – perché la preposizione sembra alludere a un luogo da abbandonare verso un altrove più in alto – ma con la prospettiva di restarci, in basso; non certo per spremere (con il cinico atteggiamento usa-e-getta di Agliè) chi suda e ha la bava, magari in cerca di informazioni preziose, ma perché è dalle periferie che si vede meglio il centro. Per farlo è fondamentale impedire, a chi è sotto i riflettori, di mettere in ombra le figure ai margini: per ricostruire alcuni nodi chiave nella storia del mentalismo è necessario scavare tra le pieghe della Storia, ritrovare personaggi dimenticati e riconoscere il ruolo fondamentale che hanno giocato – quasi sempre restando nell’ombra.

7 settembre 2018


Note

1. Richard Holmes cit. in Alain de Botton, Cos’è una ragazza, Guanda 2017, p. 43.

2. Ibidem.

3. Oliver Wendell Holmes, “Mechanism in Thought and Morals, an Address, with Notes and Afterthoughts”, James R. Osgood, Boston 1871, p. 45.

4. Ibidem.

5. Ibidem.

6. Holmes 1871, pp. 46-7.

7. Jules Evans, Estasi: istruzioni per l’uso, Carbonio, Milano 2018, p. 50

8. Frederic Myers cit. in Evans 2018, p. 50.

9. Evans 2018, p. 50.

Mesmer è curato da Mariano Tomatis, già autore di La magia della mente (2008), Te lo leggo nella mente (2013, prefazione di Max Maven) e L’arte di stupire (2014, prefazione di Derren Brown).

Insieme a Wu Ming ha curato il Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario, sperimentazione teatrale tra mentalismo e letteratura.

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